“Cristo, Alfa e Omega”. La Veglia pasquale come cammino di fede e impegno alla testimonianza

 

Anno delle Fede. Assemblea Diocesana, Scuola Allievi Guardia di Finanza, Bari, 19 settembre 2012. Proposta pastorale di S.E. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto per l’Anno Pastorale 2012-2013.

Premessa

Partendo dal Sinodo Diocesano e dalle sue conclusioni, abbiamo in questi anni approfondito il significato di un progetto pastorale diocesano, che – l’ho spesso richiamato – va inteso come visione globale della realtà pastorale, che ispira le mete e gli obiettivi, da realizzare con le relative priorità.

Attraverso la preparazione e la celebrazione del Congresso Eucaristico Nazionale di Bari (2005), limpida grazia del Signore che tutti ci ha pervasi, ho indicato in modo più completo la scelta pastorale nel testo sulla Mistagogia, che resta l’idea progettuale da sviluppare ulteriormente, come ho potuto constatare nelle cento parrocchie della diocesi, che dal 2007 finora ho visitato. Con intima gioia riconosco nei sacerdoti, nei religiosi e nei laici l’accoglienza sostanziale del progetto pastorale, considerando gradualità diversificate nella sua attuazione. Le Lettere inviate alle singole parrocchie al termine della visita pastorale lo testimoniano.

All’interno, quindi, di questa visione pastorale globale, ho inviato a tutta la nostra comunità diocesana, quest’anno, nel IV centenario del Seminario diocesano, una Lettera (Cerca e troverai) che invita tutti ad un impegno educativo vocazionale, a diventare «coltivatori di sicomori» nel gregge del Signore.

L’Anno della Fede che ci accingiamo a vivere non è una nuova scelta pastorale, ma una proposta di programma pastorale che, in questo anno di grazia, vi chiedo di attuare nelle singole comunità. Paradigma sarà la celebrazione della Veglia pasquale, esemplare espressione mistagogica del mistero cristiano.

Il cammino di fede si dovrà sempre più caratterizzare come itinerario che porti alla consapevolezza della maturazione ecclesiale della fede ricevuta nei sacramenti dell’Iniziazione Cristiana.

Queste riflessioni conservano il valore di proposta pastorale, che intendo «disegnare» orientandola verso la meta, che è Cristo, e che si attua nel tempo. Tempo privilegiato è l’Anno Liturgico.

Richiamo ancora una volta che lo strumento educativo per attuare questo itinerario è l’incontro settimanale della comunità (cfr. La Mistagogia, pp. 83 ss.).

Ecco allora il programma, illuminato dal Signore Gesù, che ci attende in questo Anno della Fede.

 

Il Cristo Pantokrator

L’immagine del Cristo Pantokrator domina la prima scena raffigurata nel rotolo dell’Exultet di Bari, il canto che racconta le meraviglie operate da Dio nella notte pasquale. L’immagine del Cristo, seduto in trono e benedicente, non solo è invito a riconoscere che è il Risorto il motivo del giubilo che risuona sulle labbra della Chiesa, ma indica allo stesso tempo la meta del cammino dei credenti introdotto e guidato dalla luce del cero pasquale che avanza verso l’altare. La gioia che anima il cammino della Chiesa verso Cristo è richiamata dal Santo Padre nel documento con il quale indice l’Anno della Fede. Infatti, il Papa spiega che uno dei motivi che deve sollecitare i credenti a celebrarlo è: «l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo». (Benedetto XVI, Lettera apostolica in forma di Motu proprio Porta fidei, 2).

Il cammino della fede caratterizza lo stesso anno liturgico, durante il quale il credente celebra la storia della salvezza e permette ad essa di scandire la sua storia quotidiana (cfr. L’anno liturgico come itinerario di fede, La Scala, Noci 2003).

Il cammino della fede è anche quello che la Chiesa ripercorre in ogni Veglia pasquale che, raccogliendo i fedeli al di fuori del tempio, li conduce con la luce del cero pasquale verso l’Eucaristica, come il nuovo popolo che procede dall’esilio verso la Terra promessa. I quattro momenti della Veglia sono un prezioso riferimento all’impegno che sollecita la Chiesa in questo Anno della fede.

Ma il cammino che conduce l’uomo verso Cristo trova prima di tutto ampia testimonianza nei Vangeli. Per questo motivo è importante che il riferimento liturgico della Veglia sia accompagnato da un riferimento biblico. Una scena che presenta un interessante rapporto tra la Veglia pasquale e il cammino della fede è quella dell’incontro di Gesù con il cieco Bartimeo raccontato dal Vangelo di Marco 10, 46-52.

 

E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". 48Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". 49Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". Chiamarono il cieco, dicendogli: "Coraggio! Àlzati, ti chiama!". 50Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: "Che cosa vuoi che io faccia per te?". E il cieco gli rispose: "Rabbunì, che io veda di nuovo!". 52E Gesù gli disse: "Va', la tua fede ti ha salvato". E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

 

La lettura del brano permette di individuare quattro momenti che presentano un interessante riferimento ai quattro momenti della Veglia pasquale.

 

1. Bartimeo siede mendicante lungo la strada e avverte il passaggio di Gesù. E’ la liturgia della luce che si svolge all’esterno della chiesa e richiama una situazione di tenebra e di lontananza da Dio.

2. Gesù chiede ai discepoli di portare da lui Bartimeo e inizia il dialogo con lui. Troviamo qui un riferimento alla liturgia della Parola, particolarmente abbondante nella notte pasquale. Essa esprime il dialogo che Dio inaugura con l’uomo sin dalla creazione.

3. Bartimeo chiede e ottiene di poter tornare a vedere. Anticamente la Chiesa chiamava i neofiti gli “illuminati” perché con il Battesimo ricevevano la luce della fede.

4. Tornato ad essere vedente, Bartimeo si mette a seguire Gesù come discepolo. La liturgia eucaristica rappresenta il vertice della Veglia pasquale. Sostenuto dal pane eucaristico il discepolo cammina sulle orme di Cristo.

 

Il percorso offerto dal brano biblico e dalla Veglia non deve essere considerato altro rispetto a quello dell’Anno liturgico che accompagna la Chiesa. Infatti, è possibile legare i quattro momenti del percorso proposto ai tempi che scandiscono lo stesso Anno liturgico.

Facendo tesoro dell’invito del Papa a riprendere in mano i testi del Concilio Vaticano II, ogni singola tappa del percorso può essere accompagnata dalla lettura e dallo studio di una delle quattro Costituzione conciliari, forse poco conosciute dalle generazioni più recenti.

Mi permetterò, nella linea del cammino educativo che impegna la Chiesa italiana in questo decennio, di offrire qualche suggestione che coinvolga in modo privilegiato il mondo giovanile, facendo riferimento alla mia Lettera pastorale Cerca e troverai, indirizzata soprattutto ai ragazzi e ai giovani.

 

I parte:Il Lucernario (Avvento-Tempo di Natale)

 

“Sedeva lungo la strada a mendicare”

Il brano di Marco che ci guida nella riflessione è immediatamente successivo a quello nel quale i figli di Zebedeo chiedono a Gesù di poter sedere ai primi posti. La situazione di Bartimeo, cieco, povero ed emarginato, ci porta in un orizzonte completamente diverso e si offre come riflessione sulla situazione che molti uomini e donne vivono nel nostro tempo. Persone sedute ai margini della strada perché incapaci di intraprendere un cammino, costretti a mendicare un aiuto, un sostegno, una luce che li aiuti a rialzarsi. Persone che forse hanno già rinunciato a vivere perché rassegnate nella loro miseria o nella loro solitudine. Persone che mendicano felicità o amore, ovunque qualcuno possa darne qualche briciolo. Persone che vivono il buio dell’esistenza che impedisce loro di capire da dove vengono e dove vanno.

Il grido di Bartimeo verso Cristo sembra dare voce al grido di tanti uomini del nostro tempo che, al buio e sul ciglio della strada, chiedono che Qualcuno li prenda per mano e li sollevi per rimetterli in cammino. Scrive Origene: «Quelli che sono ciechi seguano Cristo, dicendo ed esclamando: “Figlio di David, abbi pietà di noi”, affinché ricevendo da lui anche la vista, possano in seguito essere irraggiati dallo splendore della sua luce» (Omelie sulla Genesi, I,7).

 

Rinnovati nello spirito, alla festa dello splendore eterno

La celebrazione della Veglia pasquale ha inizio fuori, all’esterno della chiesa. L’uomo viene raggiunto nella sua terra, nello spazio della sua vita quotidiana. Ma «essere fuori» richiama anche la situazione di disagio che l’uomo sperimenta quando si sente smarrito: “sentirsi fuori” è un modo per dire che non si è a proprio agio. Anche il buio con cui ha inizio la Veglia è una metafora. Esso trova la sua origine prima di tutto nella celebrazione del giorno prima, quella della morte del Signore. Allo stesso tempo è riferimento alla condizione del peccato con la quale ogni uomo deve confrontarsi. Ma il buio richiama anche la nostra esistenza, la confusione e lo smarrimento che ogni uomo sperimenta nella sua vita. E’ interessante, a questo proposito, uno sguardo al significato che il Vangelo di Giovanni dà alla «notte» quando parla dell’incontro di Gesù con Nicodemo (Gv 3, 1), oppure quando parla del tradimento di Giuda (Gv 13, 30), o ancora quando parla della terza apparizione di Gesù ai discepoli che «in quella notte non presero nulla» (Gv 21, 3).La Veglia pasquale inizia nella notte per condurci verso il giorno; inizia nel buio per condurci verso la luce.

Il lucernario della Veglia pasquale assume così l’immagine di una vita che ricomincia. Di una persona che è appena nata, non si dice forse che «è venuta alla luce»? E’ questo il momento nel quale può nascere il coraggio di riprendere in mano la propria esistenza per poterla orientare verso un fine. Le parole che accompagnano l’accensione del Cero pasquale sono eloquenti a riguardo: «La luce del Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del cuore e dello spirito». Le tenebre del cuore e dello spirito richiamano la condizione di chi brancola nel buio ed è incapace di orientarsi.

L’ho ricordato nella Lettera pastorale Cerca e troverai: “Anche noi, spesso, viviamo così: disorientati, incapaci di scelte, con un’esistenza in mano, che non sappiamo più a che cosa serva. Ci manca l’essenziale. E la vita, così, si spegne… Crediamo che ci manchi qualcosa, e in realtà ci manca tutto. Ci manca l’Amore, quello ‘Primo’, sorgente di ogni altro amore e senso” (p. 7). E’ necessario scoprire le zone d’ombra che abitano il nostro cuore per ritrovare lo slancio della fede che illumina e da senso alla nostra storia.

L’impegno tocca anche le nostre comunità. Spesso la preoccupazione di un’organizzazione efficiente può far dimenticare la centralità della fede e ridursi a prestare un servizio, piuttosto che offrire risposte al cuore inquieto dell’uomo.

 

Festa della presentazione del Signore

 

Nel clima del Lucernario ho pensato di vivere con voi, in questo Anno della Fede, un altro momento assembleare di preghiera e di contemplazione del Mistero il giorno 1° febbraio intorno al Candelabro in pietra del cero pasquale, che sarà collocato stabilmente in Cattedrale, accanto all’ambone. Il 2 febbraio, infatti, Festa della presentazione del Signore, si riprendono i vari temi sottolineati già durante l’Avvento e il Tempo natalizio, e parimenti ci si apre alla realtà pasquale (vedi ad es. il tema della presentazione-oblazione e soprattutto il tema della luce).

Il candelabro, infatti, rievocando il nostro Exultet, ripercorrerà la storia della salvezza dall’Antico al Nuovo testamento, dalla creazione alla Risurrezione. Alla base, quasi a sorreggere questo racconto per immagini, le figure dei Profeti e dei Santi Vescovi Nicola e Sabino, intervallati dai simboli degli evangelisti.

La nostra Chiesa locale, quindi, beneficia di questo mistero di luce e di grazia, di cui anche l’acqua, avvolgente tutta la colonna marmorea, è simbolo.

 

La Gaudium et spes

Il documento conciliare al quale faremo riferimento in questa prima tappa del nostro cammino sarà la Gaudium et spes, la Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Sono pagine che mostrano il volto di una Chiesa che vuole camminare con gli uomini del suo tempo e mettersi in ascolto delle domande che portano nel cuore. Leggiamo, infatti: «è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna, infatti, conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico» (GS 4). È l’esercizio dell’auditus temporis, che ho richiamato nel Sinodo diocesano, un esercizio sapienziale che contempla Cristo «via, verità e vita» (cfr. Il Libro del Sinodo, pp. 67; 213-215).

 

II parte:La liturgia della Parola (Tempo di Quaresima)

 

“Gesù si fermò e disse: Chiamatelo!”

Il grido di Bartimeo è ascoltato da Gesù, che chiede a chi gli sta intorno di chiamarlo perché vuole incontrarlo. “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Nel corso dei secoli, attraverso la preghiera dei monaci del deserto, l’invocazione di Bartimeo è diventata quella che si è soliti chiamare la “preghiera di Gesù”. Tra tutti coloro che percorrono la strada dove giace Bartimeo e che si rivelano infastiditi dalla sua presenza, solo Gesù è disposto a rivolgergli la parola. Ma se il grido di Bartimeo è solo un’invocazione di aiuto, Gesù non si limita ad esaudire la sua richiesta, ma entra in dialogo con lui. Tuttavia, la prima domanda che gli rivolge appare banale o retorica: "Che cosa vuoi che io faccia per te?". Gesù sa molto bene cosa chiede Bartimeo, ma lo costringe a chiedere, quasi a suggerire la necessità di dare un nome al proprio bisogno. Bartimeo non è un malato, ma prima di tutto un uomo. Con la sua domanda, Gesù aiuta anche chi gli sta vicino a prendere coscienza che non è possibile curare la sofferenza se non ci si prende cura dell’uomo che la vive. Gesù non salva dalla sofferenza, ma aiuta l’uomo a non rimanerne schiacciato sotto il peso.

Ogni uomo, di fronte ai propri limiti o alle vicende drammatiche della storia, avverte il desiderio di vedere e di capire, ma solo l’incontro con Gesù e con la sua Parola può gettare una luce sul suo cammino e impedire di rincorrere vane illusioni.

 

Rispondere degnamente alla grazia della chiamata

La liturgia del lucernario ha accompagnato il credente a varcare la soglia della chiesa, per condurlo nello spazio consacrato all’incontro con Dio. Tornano alla mente le parole di Osea: «Ti condurrò nel deserto e parlerò al tuo cuore» (Os 2,16). Dal frastuono della strada dove ha avuto inizio la celebrazione, il cristiano è portato in uno spazio di intimità che gli permette di ascoltare la voce di Dio. Il cero pasquale collocato in alto, accanto all’ambone, non solo richiama la presenza del Risorto che, come ai discepoli di Emmaus, «ci svela il senso delle Scritture» (Preghiera eucaristica V), ma allo stesso tempo sottolinea come, alla luce della risurrezione di Cristo, la Parola di Dio che sarà proclamata è prima di tutto annuncio che riaccende la speranza.

Il racconto che le pagine della Scrittura annunciano in questa notte, getta una luce nella vita di ogni uomo. Dove non c’è storia ci sono solo frammenti di vita incomprensibili; ma quando si riesce ad individuarne la trama è possibile raccoglierli e intravedere dove conduce.

La liturgia della Parola che caratterizza la seconda parte della Veglia pasquale, con la sua abbondanza di letture, ripercorre tutta la storia della salvezza e rivela il dialogo che Dio, sin dall’inizio della creazione, ha voluto instaurare con l’uomo. L’iniziativa è di Dio. E’ Dio che inaugura il dialogo con l’uomo perché si preoccupa per lui, per la sua condizione. E’ il dialogo inaugurato proprio nel momento della caduta di Adamo, quando Dio chiede a lui: “Dove sei?” (Gen 3, 9). Dio chiama e attende che l’uomo risponda. Un’orazione della Veglia pasquale chiede a Dio: «concedi al tuo popolo di rispondere degnamente alla grazia della tua chiamata». La preghiera fa riferimento alla fede di Abramo che risponde e obbedisce a Dio.

Questo secondo tempo del nostro cammino offre la possibilità di riscoprire il ruolo fondamentale che la Parola di Dio assume nella vita del credente. Dobbiamo riconoscere che è cambiato l’atteggiamento di molti fedeli nei confronti della Parola di Dio, da quando il Concilio Vaticano II ha voluto che a tutti venisse offerta la ricchezza delle Scritture. Origène, facendo riferimento al brano evangelico della Samaritana, spiega: «Ormai si realizza quella parola del Salvatore ai discepoli: Se uno crede nel Cristo e si disseta all’acqua della sua dottrina, dal suo seno sgorgano fiumi d'acqua viva, e non solo pozzi o una sorgente. Accade proprio come per il Pozzo unico della Parola di Dio che genera una gran copia di conoscenze spirituali paragonabili a pozzi, sorgenti e fiumi innumerevoli» (Sui Numeri, XII,1). Per Origène è Cristo il pozzo al quale l’uomo può attingere per placare la sete che porta dentro di sé. Anche Benedetto XVI richiama il ruolo fondamentale della Parola di Dio: «Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli» (Porta fidei, 3).

Il dialogo che Gesù instaura con Bartimeo sollecita anche noi a cercare continuamente il dialogo con Dio attraverso la lettura e l’ascolto della sua Parola. Ci saranno sempre domande o situazioni che invocano risposte alle quali l’uomo non può rispondere se non attingendo alla Parola di Dio. Allo stesso tempo, solo chi sa abbeverarsi al pozzo delle Scritture sarà in grado di offrire una risposta autentica alle ansie dei fratelli, perché non si affiderà alle sue parole ma alla stessa Parola di Dio. Nella Lettera pastorale Cerca e troverai richiamo la responsabilità di farsi attenti alle domande dei fratelli, soprattutto più giovani: “Dobbiamo perdere tempo ad ascoltare le ansie degli uomini e delle donne del nostro tempo, perché nel caos degli eventi quotidiani, spesso segnati da negatività e violenza, il nostro ascolto si offre come luogo di sosta, nel quale la parola di chi si affida a noi può incontrare le proprie domande più vere e scoprire, nella nostra fragile esperienza, una risposta di gioia, data dal nostro incontro con il Risorto” (p. 22).

 

La Dei Verbum

Il documento del Vaticano II che accompagnerà questa seconda fase del cammino sarà la Costituzione dogmatica Dei Verbum sulla divina rivelazione. Le affermazioni e le indicazioni di questo prezioso documento continuano ancora oggi a portare frutto nella Chiesa. Infatti, sono sempre più numerosi coloro che nutrono quotidianamente la loro fede con la Sacra Scrittura, convinti che: «nella parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale» (DV 21). È «la sacramentalità della Parola», formula davvero innovativa fatta propria dall’Esortazione apostolica Verbum Domini di Benedetto XVI. Durante il tempo quaresimale «nella Parola la carità prende forma, misura e motivo: la forma, la misura e il motivo del’amore di Cristo, Vangelo dell’amore di Dio da cui il discepolo impara “la Parola della Croce”, rivelazione dell’“amore più grande” (Gv 15,13), dell’“amore sino alla fine” (Gv 13,1)» (cfr. la mia relazione al XXXV Convegno nazionale delle Caritas diocesane, Fiuggi Terme, 21 nov. 2011). In questo contesto va vissuta nelle varie comunità la proposta caritativa diocesana quaresimale.

 

III parte:La liturgia battesimale (Tempo di Pasqua)

 

“Balzò in piedi e venne da Gesù”

Alzandosi in piedi, Bartimeo è aiutato da Gesù ad avere un sussulto di dignità. Egli può lasciar cadere il suo mantello che lo riparava dal freddo della strada perchè l’incontro con Cristo ha riscaldato il cuore. Balzando in piedi, Bartimeo risorge da una sua situazione che lo aveva escluso dalla storia degli uomini. Abbandonato ai margini della strada, egli ora può ricominciare a vivere, rimettendosi sulla strada alla sequela di Cristo.

Ma il gesto di Bartimeo assume anche il significato di una scelta. Infatti, egli potrebbe continuare a vivere la propria dipendenza dagli altri, rassegnato nel suo destino. A volte, trasformare la sofferenza in uno sterile vittimismo può diventare una scelta di comodo perché ci mette al riparo dalle responsabilità. Sappiamo bene che “fare scelte importanti, radicali, fare dei progetti che richiedono impegni, cercare qualcosa di definitivo… spaventa. L’alternativa, però … la vediamo facilmente intorno a noi. La maggior parte delle persone vive la propria esistenza in maniera arrabbiata, o depressa, o confusa, sofferta. Non ha in se una progettualità che la porti a cercare e a trovare in quello che dice o in quello che fa il ‘gusto’ dell’esistere” (p. 12). Come è difficile oggi, specie per i giovani, compiere scelte definitive!

Il balzo di Bartimeo non è solo frutto della sua volontà, ma scaturisce dall’incontro con Cristo. Bartimeo è stato sempre là, seduto al suo posto, fino a quando non ha avvertito la presenza di Gesù. L’incontro con chi ti ama genera sempre una risurrezione.

 

Ciò che è invecchiato si rinnova

La terza parte della Veglia è caratterizzata dalla liturgia battesimale che esprime la libera risposta dell’uomo alla chiamata di Dio. Il Battesimo esprime la volontà di credere e il desiderio di accettare che nella propria vita si realizzi il mistero di morte e risurrezione di Cristo. Un’orazione della Veglia pasquale riconosce che solo in Dio «ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla sua integrità, per mezzo del Cristo, che è principio di tutte le cose».

Accettando di morire ad una vita rassegnata e superficiale, si può iniziarne una nuova, colma di senso e orientata verso il futuro. Tra i versi dettati dal papa Sisto III per il Battistero Lateranense, leggiamo: «L’acqua restituirà nuovo quello che avrà accolto vecchio… chi è nato a questo fiume sarà santo». Il sacramento della rinascita inaugura un nuovo cammino.

Nella liturgia battesimale, prima ci sono le “Rinunce” poi la Professione di fede. E’ un invito a “schierarsi”, ad affermare apertamente da che parte si intende stare. Anticamente questo gesto conosceva anche la simbologia dell’orientamento: verso Occidente per le “rinunce”, verso Oriente per la “Professione di fede”. Era un modo per affermare che chi sceglieva di seguire Cristo dava le spalle al suo passato, al regno delle tenebre e del peccato, in definitiva, a tutto ciò che lo portava lontano dal Signore. Lo spiega san Cirillo di Gerusalemme ai neofiti: «Quando dunque rinunci a Satana, sciogliendo assolutamente qualsiasi patto con lui e ogni tua precedente intesa con l’inferno, ti si aprono le porte del paradiso di Dio, che fu piantato ad oriente e da cui il nostro progenitore fu cacciato per aver violato il precetto. Ne è un simbolo il fatto che tu ti volgi da occidente a oriente, la regione della luce» (Catechesi mistagogica,1). E’ la conversione che inaugura il cammino del discepolo e che la Veglia pasquale invita ogni volta a rinnovare. È stato bello rivivere questo “segno” con i cresimandi che ho incontrato nel tempo pasquale in Cattedrale. Spero che questo appuntamento diventi tradizionale nella nostra Chiesa locale.

Questo terzo momento del cammino si presenta come opportuna occasione per riscoprire e vivere il senso autentico del sacramento del Battesimo. Tutta la storia dell’uomo è fatta di scelte, ma c’è una scelta che orienta e condiziona tutte le altre e che non si può eludere. Essa è fondamentale per lanciarsi nel futuro e non rimanere ancorati al presente, o peggio ancora prigionieri del passato. Ma le scelte chiedono coraggio e comportano rischi. E’ quello che molto spesso, oggi, impedisce di fare scelte definitive.

Allo stesso tempo, essendo il tempo pasquale occasione per la celebrazione di Prime Comunioni e Cresime sarà opportuno assumersi la responsabilità di aiutare le famiglie delle nostre comunità a comprendere che ogni sacramento rappresenta una scelta e chiama ad una responsabilità. I sacramenti non si pretendono ma si chiedono, essi sono un dono e non una prassi. Il Papa ricorda che «La fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede» (Porta fidei, 10).

Quanto sarebbe opportuno riprendere i suggerimenti che L’anno liturgico come itinerario di fede offre, scandendo i vari riti dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana dall’Avvento fino alla Pentecoste!

 

La Sacrosanctum Concilium

Queste riflessioni orientano a prendere tra le mani il testo del Vaticano II che accompagnerà questo terzo momento: la Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia. Deve essere una costante premura quella di aiutare i fedeli a riscoprire il senso autentico della liturgia nella vita della Chiesa. Essa non può ridursi ad una sterile ritualità, deve essere compresa e vissuta come evento di salvezza nella quale si realizza l’incontro del credente con il Risorto. Leggiamo, infatti, che: «la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia». Non dobbiamo dimenticare che «la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei sacramenti pasquali, a vivere in perfetta unione; prega affinché esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede» (SC 10).

 

IV parte:Liturgia eucaristica (Tempo ordinario)

 

“E lo seguiva lungo la strada”

Quello che Gesù ha operato nei confronti del cieco, conferma che “veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Bartimeo non è più per strada, ma sulla strada. Il suo cammino si è fatto sequela perché percorso dietro i passi di Cristo. Bartimeo non vive più ai margini della storia ma cammina con passo deciso nella storia. Romano Guardini direbbe che «camminare eretti significa essere uomini... Ma non siamo più soltanto uomini: siamo più che uomini» (R. Guardini, Lo spirito della liturgia. I santi segni, Morcelliana, Brescia 1964, p. 136). Prima ancora di trovare la fede, Bartimeo ha ritrovato la sua dignità di uomo. Il dono della fede non è una realtà che esula dalla vita. Bartimeo, infatti, ottiene la vista prima di tutto come uomo. Prima di aprire i suoi occhi, Gesù gli ha aperto il cuore.

Allo stesso tempo, se leggiamo che Bartimeo “seguiva” Gesù lungo la strada, dobbiamo dedurre che la sua storia non si conclude con la guarigione. L’evangelista, infatti, non vuole raccontare il miracolo della vista ma quello della fede. Siamo di fronte a un cammino inaugurato dalla guarigione, ma destinato a continuare nella vita di ogni giorno. Nella sua prima enciclica Benedetto XVI scrive nell’introduzione: «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, 1)

 

Il desiderio del cielo

L’orazione sul fuoco nuovo della Veglia pasquale chiede a Dio che: «le feste pasquali accendano in noi il desiderio del cielo, e ci guidino, rinnovati nello spirito, alla festa dello splendore eterno». Nella quarta parte della Veglia, culmine della celebrazione, la Chiesa pregusta la “festa dello splendore eterno”. Il cammino iniziato sul sagrato della chiesa trova nel sacramento dell’altare la sua meta.

L’Eucaristia, celebrata dopo il Battesimo e la Confermazione è il segno evidente che il cammino dell’Iniziazione Cristiana resta un cammino “aperto”, mai concluso definitivamente. L’orazione dopo la comunione nella II domenica di Pasqua lo esprime in modo semplice ma efficace: «la forza del sacramento pasquale che abbiamo ricevuto continui a operare nella nostra vita». L’eucaristia, quindi, è il sacramento che «continua ad operare» nella vita di ogni credente, perché la fede non può ridursi ad un gesto, ma apre ad un cammino che impegna giorno per giorno.

Se il battesimo ci ha fatti risorgere con Cristo, l’eucaristia ci fa vivere di Cristo. Il profondo legame tra il battesimo e l’eucaristica è spiegato molto bene da Teodoro di Mopsuestia in una Omelia sull’eucaristia: «Poiché per mezzo della morte di Cristo abbiamo ricevuto una nascita sacramentale, conviene che dalla stessa morte riceviamo il cibo del sacramento d’immortalità. Dobbiamo essere nutriti dalla stessa sorgente da cui siamo nati, secondo la norma di tutti gli esseri viventi» (Teodoro di Mopsuestia, Prima Omelia sull’eucaristia, in A. Hamman (a cura di), L’iniziazione cristiana,Marietti, Casale Monferrato 1982, p. 123). L’eucaristia, realizzando la comunione con Cristo, introduce in un cammino che porta oltre il tempo, oltre la storia, verso la vita eterna.

È il tempo per riscoprire, ancora una volta, la domenica come «sacramento della Pasqua» (S. Agostino), «festa primordiale», «fondamento e nucleo di tutto l’anno liturgico» (SC 106) e per rinverdire l’esperienza del Congresso Eucaristico del 2005 nella solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo.

La liturgia pasquale non si conclude con il congedo finale, bensì con la responsabilità e la missione affidata a ciascuno. Iniziando sul sagrato della Chiesa, la Veglia pasquale ha condotto il credente verso l’altare, meta del cammino di fede. Nutrito di Cristo, con i riti di congedo, il credente ritorna alla storia di ogni giorno completamente trasformato, diventando così testimone di quanto ha vissuto.

Il tempo ordinario che la Chiesa ci offre è il tempo della quotidianità. L’aggettivo “ordinario” piuttosto che far pensare ad un tempo dimesso, non eccezionale, dovrebbe suggerire l’”ordine” con cui il tempo liturgico ritma il tempo dell’uomo. Emerge in questo modo lo stretto rapporto tra vita liturgica e storia quotidiana, tra fede professata e fede vissuta. Il tempo diventa “ordinario” perché è Cristo che dà ordine alla vita. “Tocca a noi essere testimoni della bellezza del tempo ‘perso perché donato’. E, questo, certo, porta gioia, ma comporta anche fatica… Ma, sappiamo, solo attraverso questa via, il nostro cuore può arrivare a narrare il nostro stupore, la nostra meraviglia, non per il miracolo di ciò che siamo riusciti a donare, ma per i mille giorni senza miracoli in cui il Signore, rimanendoci accanto, ci ha ripetuto e ci ripete: ‘non temere, perché io sono con te!’” (p. 25).

Questo è il tempo in cui crescere nella consapevolezza che la fede impone la responsabilità di una sincera e autentica testimonianza. Lo ricorda il Papa quando afferma che «Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine» (Porta fidei, 15).

 

La Lumen Gentium

Il testo che accompagnerà questa quarta fase del cammino sarà la Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa. Il motivo è molto semplice: «La Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga. Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce» (LG 8). Possiamo affermare, a cinquant’anni dal Concilio che le nostre comunità sono divenute soggetto dell’itinerario di fede, non riservato agli “addetti ai lavori”? «I grandi rinnovamenti della Chiesa sono sempre stati determinati da scoperte realistiche delle situazioni e, insieme, da visioni ideali che hanno indicato il cammino e sostenuto la speranza. Quando avremo compreso che la nostra azione pastorale può validamente e lecitamente rinnovarsi, qualcosa comincerà a cambiare anche nella prassi. Attraverso la crescita di un laicato, cui bisognerà sempre più dar fiducia e parola, si camminerà verso una comunità di credenti adulti maturi…» (Catechesi liturgia vita, p. 47)

 

Breve conclusione

 

Dalle tenebre alla luce, dall’esterno all’interno, dalla strada alla casa di Dio, dal sagrato all’altare, «soglia dell’eternità» (R. Guardini, op.cit, p. 145).

La Veglia pasquale diviene così sintesi armonica tra l’annuncio, la celebrazione e la testimonianza della vita. Esemplarmente aiuta a vivere un’esperienza «mistagogica», di ingresso progressivo nel mistero della salvezza.

E’ questo il cammino che l’Anno della fede può proporre a ciascuno di noi. Il filoso e scrittore francese Gabriel Marcel afferma che «l’uomo è essenzialmente un viandante» e aggiunge che è l’inquietudine a farlo progredire, e non potrebbe essere altrimenti perché «l’uomo non può perdere questo sprone senza divenire immobile e senza morire» (Gabriel Marcel, Homo viator, Borla, Roma 1944). L’inquietudine che spinge sant’Agostino a cercare Dio dovrà essere la stessa inquietudine che in questo anno muove i nostri passi nel cammino della fede.


† Francesco Cacucci

Arcivescovo